Li amò fino alla fine
Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato.
Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità.
Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti.
(cf. Is 52,13-53,12)
Il Venerdì Santo è dedicato alla memoria della Passione di Cristo.
La scarna liturgia pomeridiana – inizia e termina in silenzio – non prevede la Celebrazione Eucaristica, quasi a suscitare nel credente la fame di Dio, significata anche dal digiuno richiesto in questo giorno agli adulti sotto i 60 anni.
Non è un rito funebre: i paramenti non sono viola, come per il lutto, ma rossi, come per le feste dei martiri. È invece un tempo di contemplazione dell’amore di Dio per l’uomo, testimoniato da Cristo fino alla fine.
Il racconto giovanneo della Passione del Signore mette in luce proprio il gesto estremo di Gesù per mostrare “l’amore più grande”, quello che si spezza, quello che si mette a servizio della nostra umanità ferita, quello che dà la vita per noi, suoi amici. Ciò che ci ottiene la salvezza non è il dolore che Gesù ha provato, ma l’amore che in esso si esprime. E nel racconto il Signore non appare come vittima delle circostanze o della cattiveria degli uomini, ma come attore protagonista che assume su di sé il male del mondo e lo redime: lui è il centro della narrazione, lui agisce, lui muore e nella sua morte manifesta la sua gloria di Figlio di Dio.
Se il protagonista è lui, noi che dobbiamo fare? La nostra parte, in questo mistero di amore e di salvezza, ce la insegna Maria: anche noi siamo chiamati a stare davanti a questa croce, nel silenzio, a contemplare l’amore che si dona, a guardare quanto seriamente ci ama Dio.
La lunga e articolata “preghiera universale” rappresenta e la sollecitudine di Gesù che affida al Padre la sua Chiesa e l’umanità intera e chiede a noi di coinvolgerci in tale profonda intercessione.
Il momento dell’adorazione della croce, infine, mette ciascun fedele nella condizione di riconoscere in questa morte la nostra salvezza e nel patibolo della croce il trono della grazia: ci poniamo di fronte a un amore che ci precede e non ci chiede nulla in cambio; esprimiamo il desiderio di rispondere con tutto noi stessi, senza limiti né condizioni a un così grande amore.
L’amore totale è il volto di Dio che Gesù ci rivela; per cui l’amore è l’unico linguaggio che abbiamo comunicare veramente con lui. Come cantava De André, “l’amore ha l’amore come solo argomento”.
Dalla lettera ai fedeli (FF 184)
La volontà del Padre fu che il suo figlio benedetto e glorioso, che egli ci ha donato ed è nato per noi, offrisse se stesso, mediante il proprio sangue, come sacrificio e vittima sull’altare della croce, non per sé, poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose, ma in espiazione dei nostri peccati, lasciando a noi l’esempio perché ne seguiamo le orme. E vuole che tutti siamo salvi per mezzo di lui e che lo riceviamo col cuore puro e col nostro corpo casto.