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Pellegrini nel mistero di Cristo, nostra speranza: Sabato Santo

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Shabbàt

«Venite, ritorniamo al Signore: egli ci ha straziato ed egli ci guarirà. Egli ci ha percosso ed egli ci fascerà. Dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci farà rialzare, e noi vivremo alla sua presenza». (cf. Os 6,1-2)

Durante il Sabato santo tutto tace: le campane, i rumori, le liturgie, i canti, ma anche i lamenti e i pianti. Rimane solo il silenzio.
Non è un giorno di lutto, ma un giorno di attesa.
È Shabbàt, il settimo giorno, dedicato al riposo e all’assenza di ogni attività. E la Chiesa sosta in silenzio meditando la Passione di Dio per noi e vivendo nell’attesa e nel digiuno, anche eucaristico, l’attesa della sua Pasqua.
Anche Dio oggi fa Shabbàt: ha fatto tutto quello che poteva, ha dato tutto se stesso, e ha incontrato l’inesorabilità della morte, è stato deposto nel sepolcro. È anche disceso agli inferi, come in un tuffo di Dio nelle acque profonde della nostra umanità, fino al punto più basso e più lontano da lui: lì, nella tenebra più profonda, lì dove la morte sembra vincere, il Cristo raggiunge ogni uomo e inizia la risalita che porta alla risurrezione lui stesso e noi con lui.
Nella notte, la Veglia Pasquale ci sorprenderà con l’annuncio che in Cristo la morte è vinta.
Ma ora tutto tace, tutto attende: è Shabbàt.

Dall’Ufficio della Passione (FF 291)

O Dio, volgiti in mio aiuto; Signore, vieni presto ad aiutarmi.
Tu sei mio aiuto e mio salvatore; Signore, non tardare.

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